E’ sempre un tema caldo quello della gestione dei rifiuti nel Cuore Verde d’Italia, per le associazioni e cittadini, ma soprattutto per chi governa gli enti locali e le aziende, piccole e grandi, che nei rifiuti urbani e speciali hanno il loro core business. Preparandoci a partecipare all’audizione perugina con la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle attività’ illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali, proviamo a chiarirci un po’ le idee.
Ieri mattina a Terni, l’azienda romana ACEA, detenuta al 51% dal Comune di Roma – che ha chiesto alla Regione Umbria di estendere le tipologie di rifiuti da bruciare all’interno dell’inceneritore di Maratta Bassa, in particolare carta e cartone, plastica e gomma, legno, prodotti tessili e altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti – ha promosso insieme ad Assocarta e Comieco, il convegno “Chiudere il cerchio”. Nelle intenzioni dichiarate degli organizzatori l’evento avrebbe dovuto rappresentare un’importante occasione per favorire la diffusione della cultura della sostenibilità e l’economia circolare nel settore della carta, coinvolgendo un ampio numero di attori interessati alla filiera.
Peccato che non siano state invitate le associazioni ambientaliste che si occupano di economia circolare, a cominciare da Legambiente, e nemmeno i comitati locali di cittadini che da anni si battono contro gli inceneritori, perché avrebbero potuto controbattere alle affermazioni dei relatori, i cui interventi hanno riportato indietro di diversi decenni il concetto di ambientalismo e piegato il principio di economia circolare al loro interesse.
Lo hanno fatto affermando falsità come il fatto che aumentando la raccolta differenziata aumentino gli scarti e quindi ci sarebbe bisogno di più incenerimento, senza citare la necessaria riduzione a monte dei rifiuti e la possibilità di progettare i beni di consumo. Si è arrivati perfino ad ipotizzare di tornare indietro e non far differenziare i materiali ai cittadini, ma buttare tutto in impianti che separino a valle: il modo migliore per produrre sempre più scarti, recuperare di meno e bruciare sempre di più. Su questo, almeno, Assocarta in difesa dell’industria del riciclo della carta, è stata chiara nel ribadire che questa è una pratica sbagliata.
Più volte si è dichiarato che per fare economia circolare servono impianti e questo è vero, lo diciamo anche noi di Legambiente da molto tempo, solo che gli impianti necessari non sono gli inceneritori, come gli interventi di ieri volevano far credere. L’industria di cui abbiamo bisogno è innanzi tutto l’industria del recupero, del riuso, del riciclo. Come il riciclo degli scarti (prevalentemente plastica) del pulper di cartiera. Gli interventi di ieri hanno più volte affermato che non sia riciclabile, ma questo non è vero. Lo ha dimostrato il progetto europeo EcoPulPlast realizzato nel più grande distretto cartario d’Italia, a Lucca, grazie alla collaborazione di università e industrie, realizzando il primo macchinario industriale che stampa pallet in plastica riciclata ottenuta proprio dagli scarti delle cartiere del distretto. Cartiere che, come è stato detto proprio ieri durante il convegno di Terni, di pallet hanno bisogno, visto che movimentano centinaia di migliaia di pallet di cartone ogni anno.
Questo è il futuro sostenibile che ci aspettiamo per il paese, che crea molto più lavoro e sostenibilità, aumentando davvero la vita utile dei materiali: la vera economia circolare, a dispetto di quanto sia interessata a far credere l’industria dell’incenerimento.
Industria dell’incenerimento che ieri a Terni non ha avuto remore neppure a dire che si dovrebbero abbattere le barriere non tecnologiche che limitano l’espansione in Italia, come le normative o gli atteggiamenti delle amministrazioni che intralciano l’incenerimento.
Non ci stupisce che l’industria dell’incenerimento abbia più volte ringraziato la Lega, e il Senatore Briziarelli in modo particolare, anche se assente, per il “grande lavoro fatto nel decreto semplificazioni” e il supporto nel decreto end-of-waste per sostenere le loro richieste: dotarsi di strumenti flessibili sul territorio per concedere in modo più semplice le autorizzazioni alle aziende “virtuose”, che nella loro accezione di virtuosismo, sarebbero le imprese che bruciano.
E’ del tutto evidente che ACEA, dopo essersi premurata di rassicurare i cittadini ternani che non intende bruciare CSS (il combustibile solido secondario derivato dalla lavorazione dei rifiuti urbani e speciali non pericolosi), usa questo evento per riconfermare l’intenzione di trasformare un inceneritore dedicato ai rifiuti speciali (in particolare lo scarto di pulper di cartiera, prevalentemente plastica), già finito sotto inchiesta tempo fa per il materiale bruciato non conforme e fortemente inquinato, in un inceneritore a supporto della gestione rifiuti urbani, adatto a bruciare gli scarti dei trattamenti meccanici, tra cui, ricordiamo, anche la plastica.
E i progetti di innovazione venduti dall’azienda come economia circolare per il riutilizzo delle ceneri, altro non sembrano se non un modo per declassare la pericolosità delle migliaia di tonnellate di ceneri prodotte da questi impianti, in modo da poterle smaltire nelle discariche più vicine, a prezzi ancora più vantaggiosi per il gestore degli inceneritori, come detto esplicitamente anche dagli stessi dirigenti di ACEA.
L’idea di bruciare a Terni rifiuti di Roma, sappiamo bene, non è nuova, se ne parlava già nel 2015: oltre ai comitati furono i consiglieri regionali del movimento a Cinque Stelle a dare l’allarme (https://corrieredellumbria.corr.it/news/terni/190889/Allarme-5-Stelle–T…), salvo poi spiegarci successivamente che con l’avvento della Raggi a Roma l’allarme era rientrato… (https://www.umbriajournal.com/perugia/m5s-linceneritore-acea-di-terni-sa…).
Evidentemente l’enorme problema dello stoccaggio dei rifiuti è diffuso in tutta Italia. Ma la soluzione utile per i cittadini è il miglioramento del sistema a monte e l’investimento sull’industria del riciclo a valle, non quelle soluzioni interessanti per i gestori degli impianti di incenerimento e (guarda caso) utili anche alle vicende romane: visto che i rifiuti comunque bruciano, a Perugia come a Rocca Cencia, meglio farli bruciare negli inceneritori!
Magari proprio in quello di Terni visto che pare che ACEA si appresti a rilevare lo smaltimento dei rifiuti, nello spacchettamento di AMA. E che fortuna che in Umbria ACEA detenga anche la proprietà della discarica delle Crete di Orvieto! In questo modo la millantata economia circolare dei fuochisti può avere la sua massima espressione, con la benedizione della Lega e del M5S, nazionali e locali.
Gli sforzi dei cittadini umbri, e soprattutto della provincia di Terni, insieme con quelli delle Istituzioni locali, per arrivare ad avere una gestione sempre più virtuosa dei rifiuti e una sempre migliore raccolta differenziata non possono e non devono essere sacrificati sull’altare dell’incapacità e delle storture del sistema romano.
Da Terni a Perugia, passando per Roma, il viaggio lungo la strada dei rifiuti è breve.
Con l’impianto di Rocca Cencia fuori uso e sotto sequestro cautelare della magistratura, l’AMA dovrà rivolgersi agli impianti del “ras della monnezza”, Manlio Cerroni, che i perugini conoscono bene per le vicende legate a Gesenu.
Cerroni non è più il socio privato del Comune di Perugia, per superare l’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Perugia, lo sostituisce nella compagine societaria di Gesenu da luglio del 2016 il Gruppo Paoletti il “leader del trasporto della monnezza” con la SocesFin Srl.
Perché oggi Gesenu è interessata all’acquisto delle quote di TerniEnergia in GreenAsm, invece che all’ammodernamento degli impianti nel territorio in cui è gestore della raccolta? Come mai anche ACEA è interessata alle quote di Terni Energia? Il fatto che le frazioni differenziate, come l’organico, possano viaggiare da una regione all’altra ci preoccupa, perché un organico che arrivi, per esempio, da Roma pieno di scarti, potrebbe di fatto riversare in Umbria quantità enormi di rifiuti non compostabili, da buttare in discarica o da incenerire (per poi buttare in discarica le ceneri, magari “derubricandone” la pericolosità).
In questo risiko tra aziende e richieste di autorizzazioni a bruciare, gli attacchi rivolti all’operato di Arpa Umbria e alla riorganizzazione dell’Agenzia regionale che prevede aree dipartimentali al posto delle direzioni territoriali di Perugia e Terni, destano non poche preoccupazioni. Soprattutto se si considera che l’unico baluardo a difesa della salute dei cittadini, a garanzia dell’accesso alle informazioni e ai dati ambientali è rappresentato proprio dall’Agenzia regionale.
Noi ribadiamo che le Agenzie per l’Ambiente devono rispondere a criteri di efficienza, trasparenza e indipendenza. Ci sembra più giusto, quindi, chiedere che i soldi si impieghino per assumere più tecnici che possano supportare quelli già presenti a tutelare sempre di più i nostri territori e non per moltiplicare gli incarichi dirigenziali.
Non vorremmo, invece, che sostituire e moltiplicare i dirigenti si trasformi soltanto in un modo per rispondere meglio ai nuovi “canoni di governo” che esigono l’abbattimento delle barriere non tecnologiche, normative e degli atteggiamenti che intralciano l’operato delle aziende, come richiesto ieri al convegno per l’incenerimento targato ACEA.
E’ vero, gli impianti di trattamento e di differenziazione rifiuti, generano scarti, che però la vera economia circolare impone di minimizzare con una migliore progettazione dei prodotti, con una migliore modalità di raccolta e separazione a monte e con tecnologie moderne di trattamento a valle, oltre che con il potenziamento del mercato dei prodotti riciclati, anche tramite quel Green Public Procurement su cui ancora c’è molto da migliorare.
Perfino ieri, durante il convegno di ACEA a Terni, non a caso pieno di contraddizioni, è emerso con chiarezza che l’unico modo per aiutare l’industria cartaria non sia bruciare tutti gli scarti come se non ci fosse alternativa, ma migliorare la qualità della raccolta differenziata della carta e, soprattutto, limitare l’uso di quelle plastiche nei prodotti e negli imballaggi che finiscono col contaminarla, rischiando di diventare, poi, un costo per le imprese del riciclo e un costo ambientale e sociale per i cittadini e i territori, come quello ternano. A meno che non si investa sull’industrializzazione del riciclo di questo scarto, visto che l’innovazione consente ormai di utilizzarlo come materia prima per nuovi prodotti.
Per evitare che i rifiuti vadano inceneriti e in discarica occorre lavorare su tutti questi aspetti e contemporaneamente eliminare, non certo alimentare, le tante possibili storture. Tra le varie storture c’è pure quella della soluzione semplice, appunto bruciare gli scarti, così “semplice” e talvolta a buon mercato per qualcuno, da indurre a pensare che gli scarti non siano un problema.
Diciamolo con chiarezza: gli scarti sono sempre un problema, lo sono per la collettività, e vanno ridotti il più possibile con la leva economica, con controlli a monte e a valle, con la tracciabilità dei rifiuti e con la trasparenza e la condivisione delle pubbliche amministrazioni coinvolte.
Chiunque si ponga in deroga a questo metodo sta di fatto aiutando coloro che vogliono infiltrarsi tra le maglie della gestione rifiuti per inquinare la costruzione di un’economia circolare vera, oltre che l’ambiente in generale.
Bisogna smettere di concentrasi solo sulla parte finale della gestione rifiuti, o sulle “soluzioni semplici” che ipotecano il futuro dei territori e dei cittadini, occorre lavorare finalmente per avere maggiore trasparenza ed efficienza su tutte le fasi a monte dello smaltimento e sui soggetti coinvolti, specialmente quando mossi da interessi privati, così come è necessario riallineare il più possibile il costo economico al costo ambientale, per evitare che la millantata convenienza economica si risolva nell’ennesimo danno al territorio e alle persone.
Continuare ad ampliare la capacità di incenerimento dei rifiuti urbani è un danno per tutto il sistema, perché fissa le quantità di rifiuti da bruciare e impedisce qualsiasi miglioramento futuro della gestione dei rifiuti e la possibilità di raggiungere una maggiore sostenibilità e circolarità dell’intero ciclo, a discapito dell’ambiente e dei cittadini. Da questo punto di vista la politica deve iniziare a dare un segnale di cambiamento con scelte radicali e coerenti con quelli che sono i buoni propositi rinnovati ad ogni tornata elettorale o convegno: non basta la bella speranza che le aziende inquinatrici si ravvedano, specialmente se nel frattempo i territori umbri diventano la soluzione facile (e inquinante) agli enormi problemi dei rifiuti di Roma.
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