Quale idea di città?

Quale idea di città?

Nei giorni scorsi è uscita la notizia della futura realizzazione di un nuovo supermercato Emi a Pian di Massiano, all’interno di un polo a destinazione mista nel quale saranno previste anche attività di ristorazione, e che si andrà ad aggiungere ai tanti altri già presenti nella zona, da ultimo il Conad realizzato negli ex magazzini Sulga ad appena 300 metri.

Al di là delle valutazioni di opportunità circa la reale necessità di realizzare l’ennesimo grande magazzino in un’area già satura di altre attività analoghe, ciò che sembra mancare è una visione organica dell’urbanizzazione di un’area preziosa e dall’alto potenziale come quella che insiste lungo il torrente Genna, adibita allo sport nella sua parte alta (il Percorso Verde), che conserva ancora caratteri di semi naturalità nella parte centrale e in quella più a sud, ma che negli ultimi anni ha subito sempre più le erosioni e gli svilimenti dovuti all’insediamento di nuovi “contenitori” calati dall’alto e non connessi tra loro.

Appare evidente, quindi, l’incapacità di progettare e costruire nuovi spazi in città vivibili e di buona qualità, a partire dalle esigenze della cittadinanza, e in particolare dei pedoni, continuando al contrario ad inserire singoli elementi privi di valore aggiunto, ognuno col proprio parcheggio personale, troppo spesso legati alla grande distribuzione organizzata o alle grandi catene della ristorazione (basti pensare ai diversi fast food, piadinerie e steakhouse che popolano l’area).

Si salvano i percorsi pedonali o ciclabili (troppo spesso ciclopedonali) presenti nei parchi e nelle aree verdi, ma chi deve raggiungere a piedi o in bicicletta i servizi e i poli presenti al loro esterno deve farlo a proprio rischio e il pericolo, poiché quegli spazi non sono stati, e continuano a non essere, concepiti per le persone ma solo per le auto. In un contesto del genere, fatto di non luoghi, l’automobile diventa quindi il solo mezzo di spostamento e viene favorito dalla politica in un continuo susseguirsi di strade ad alto scorrimento, rotonde e parcheggi. All’aumento del traffico si risponde poi ampliando le strade, urbanizzando sempre più la periferia, marginalizzando il trasporto pubblico e innescando così un ciclo di dipendenza dall’automobile sempre più marcato. Perugia è una città fortemente dipendente dall’automobile, mezzo che genera enormi costi esterni interamente addossati alla collettività. Continuando ad urbanizzare in questo modo, non si fa altro che continuare a modificare con una visione autocentrica in netta contro-tendenza rispetto a molti paesi europei, e non solo, che sempre più investono su infrastrutture che privilegiano la mobilità sostenibile in biciletta e a piedi, consentendo anche la proliferazione e l’incremento delle piccole attività commerciali nei quartieri.

Da alcuni anni si parla infatti di città di 15 minuti (ossia città dove i principali servizi sono accessibili a piedi o in bicicletta in appena un quarto d’ora), più recentemente si è addirittura affacciato il concetto di città di 10, 5, persino di 1 minuto dove tutto è estremamente accessibile in pochissimo tempo a piedi o in bicicletta perché vicino alle abitazioni.

La tendenza sempre più diffusa a livello europeo è quella di andare verso una città oltre l’auto, dove l’automobile continua ad essere presente ma la maggior parte dello spazio stradale non è più dedicata a questo veicolo e la maggior parte delle persone non ne ha una perché non ne sente la necessità.

Qui da noi si continua ad andare nella direzione opposta: si continua a considerare l’automobile centrale, realizzando sempre più nuove aree commerciali distanti dai quartieri, che depotenziano e ridimensionano le piccole attività e il centro storico della città. Ma non ci si limita a questo, perché in genere ogni nuova edificazione porta con sé opere di urbanizzazione (e quindi risorse) che, dietro all’apparenza “green” ben sbandierata da politici e quotidiani locali, prevedono in realtà nuove corsie, nuove rotonde, nuovi parcheggi e nuovo consumo di suolo.

Basta guardare gli ultimi interventi previsti o realizzati in quest’area.

Per il nuovo insediamento commerciale e ristorativo si propaganda la realizzazione di un nuovo parco sul modello Barton Park, ossia gestito dai privati ma ad uso pubblico; a osservare attentamente il progetto però, si tratterà di uno spazio verde di appena 2mila mq, circondato dalle strade, mentre Il Barton Park, cui si fa riferimento per far apparire chissà quali benefici, ha una superficie di oltre 3 ettari, ossia 15 volte maggiore! Avremo pertanto un’area residuale persino minore dello spazio verde ora presente a lato del distributore Esso, perché una parte verrà occupata dalla nuova rotonda.

Ed è proprio questa l’opera di urbanizzazione più costosa e corposa che interessa la politica. Unica nota positiva sono le opere di mitigazione del rischio idrogeologico (auspicando che siano realmente realizzate e fatte bene).

Ancora peggio è poi quanto previsto per il nuovo fast food che sorgerà di fronte all’Istituto Aldo Capitini. Qui si promuove il fatto che saranno realizzati pochi metri di un percorso ciclopedonale verso la stazione ferroviaria (in una delle poche strade dove non passano auto) e un’area verde con i giochi per i bambini. Ma sono solo interventi di facciata, di green washing, che purtroppo serviranno a poco e nulla. La “ciccia” di questi interventi sta nel raddoppio della corsia d’immissione sulla rotatoria di raccordo con la superstrada.

A che dovrebbero servire pochi metri di percorso misto tra pedoni e ciclisti (cosa che sfavorisce entrambi gli utenti) se poi c’è l’enorme ostacolo rappresentato dall’attraversamento di una strada esageratamente larga (ben 22 metri di fronte all’istituto Capitini) che si punta ad allargare anche in altri tratti e con un traffico sostenuto e velocità di transito elevate? Al tempo stesso a cosa serve un parco giochi lontano dai quartieri residenziali e accessibile di fatto quasi solo in auto, se non ai clienti del fast food in realizzazione?

L’elenco potrebbe anche continuare; si tratta in definitiva di veri e propri specchietti per le allodole: si continua ad alimentare un sistema autocentrico penalizzando gli altri utenti della strada con soluzioni di compromesso, pericolose, scomode, sfavorite, nascoste o del tutto assenti.

Eppure ci sarebbero potenzialità per favorire le alternative di mobilità senza chissà quali rivoluzioni visto che molte infrastrutture sono già presenti (la ferrovia con tre stazioni nell’area, il minimetrò con due fermate, la rete dei percorsi ciclabili di Perugia, seppur limitata, è quasi tutta in questa parte di città, i diversi percorsi pedonali interni ai parchi urbani, il capolinea dei bus extraurbani, ecc.).

Sarà ora di dire basta? Sarà il caso di invertire la tendenza destinando finalmente risorse, tempo e competenze nel progettare luoghi per le persone e non per i veicoli? Si vuole urbanizzare quest’area? Abbiamo dubbi in merito, ma che almeno lo si faccia con soluzioni di qualità. Si vuole usare il privato per garantire opere di urbanizzazione che il Comune non riesce a fare? Benissimo, ma che lo si faccia per interventi che segnino un’inversione di tendenza rispetto a quanto fatto finora, andando ad aumentare la qualità dei luoghi che si progetta puntando su una mobilità veramente sostenibile, non solo dal punto di vista ambientale ma anche da quello economico e sociale.

Le potenzialità ci sono, manca però una visione di città al passo coi tempi.

Vogliamo una città che vada oltre l’auto, in linea con le altre città europee!

Circolo Legambiente Perugia e Valli del Tevere

FIAB Perugia Pedala

 

il 21 marzo durante la commissione del consiglio comunale che discuteva la variante al PRG diversi consiglieri comunali di opposizione hanno fatto proprio il nostro documento leggendolo a pezzi nel loro intervento ( a partire dal minuto 37).