Covid19 e Aerosol atmosferico, il ruolo dell’inquinamento da particolato: proteggersi ora e in futuro

Di Daniela Riganelli per il mensile Sedicigiugno di Foligno

COVID 19 e Aerosol atmosferico, il ruolo dell’inquinamento da particolato: proteggersi ora e in futuro.

Con l’esplosione della pandemia da COVID-19 si è parlato molto, prevalentemente in rete, ma anche in molti giornali – non solo italiani – della potenziale correlazione tra andamento esponenziale delle infezioni e inquinamento atmosferico, ma non solo, ultimamente anche del ruolo della diffusione per via aerea tramite aerosol.

Secondo il prof. Gianluigi de Gennaro, docente di Chimica dell’Ambiente presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” e coautore di un position paper sulla potenziale correlazione inquinamento da particolato e velocità di diffusione dei virus, la correlazione c’è e i primi dati dimostrano che nel caso del COVID19 è visibile nei territori della pianura padana già nota per essere stata chiamata la camera a gas del paese. Nella figura sottostante la media degli sforamenti di PM10 (>50 μg m-3) nel mese di febbraio 2020 estratta dal position paper citato (vedi anche le foto dei primi contagi).

(In foto: sforamenti di pm10 dal 10 al 29 febbraio)

Su quali siano i meccanismi chimico-fisici, su cosa diranno ulteriori analisi epidemiologiche e approfondimenti bio-molecolari, che supportano questo rapporto di causa-effetto, si sta lavorando al fine di rendere “più robusti” i dati (termine tecnico che identifica la serie di prove scientifiche che dovranno essere acquisite, non da uno ma da molti laboratori per provare la tesi) e presto verranno pubblicati su riviste scientifiche quotate a livello internazionale . 

Fino a l’altro ieri (fine marzo ndr), il positon paper aveva suscitato molti mal di pancia e subito anche l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) aveva fatto sapere di condividere le considerazioni della nota informativa redatta dall’Italian Aerosol Society (IAS), una posizione  molto prudenziale proprio in merito alle prove che dimostrano la causa-effetto, dicendo che i dati non erano sufficienti, che l’analisi epidemiologica era in un tempo troppo breve etc… Vedi articolo.

Ad inizio aprile mentre scrivevo quest’articolo la questione è esplosa a livello mondiale e quanto ipotizzato a metà marzo da De Gennaro e colleghi «[…] Riguardo agli studi sulla diffusione dei virus nella popolazione vi è una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (es. PM10 e PM2,5), e che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze», non solo era già in parte illustrato nella letteratura scientifica riportata nel documento, ma è stata oggetto di approfondimento e di discussione in molte parti del mondo. In particolare in due importanti articoli pubblicati rispettivamente sulle riviste scientifiche Nature e Science.

Nella news pubblicata  su Nature  il 2 aprile infatti vengono riportate numerose evidenze che dimostrano la presenza del virus non solo nelle goccioline di saliva che, essendo pesanti cadrebbero a terra appena espulse da un soggetto positivo, ma possono essere aggregate ad una grande varietà di particelle di diverse dimensioni. Viene anche riportato uno studio (ancora non recensito secondo il sistema peer-review) in cui si dimostra che « […] durante la respirazione o parlando, la trasmissione del SARS-CoV-2 nell’aerosol può avvenire e impattare le persone sia vicino che lontano dalla sorgente».

Altri casi riportati riguardano studi all’interno di cliniche o proprio in un  ospedale cinese. Viene altresì citato il già noto studio pubblicato sul New England Medicin che evidenzia i tempi di permanenza del virus in varie superfici (vedi  Focus).  

Anche l’articolo di Science, parte citando quanto si chiede la National Accademy of Science, ovvero se è vero che il nuovo coronavirus puo’ disperdersi nell’aria e può essere trasportato dal particolato fine ed extrafine, quindi non solo dalle grandi goccioline di saliva emesse da un positivo se starnutisce o tossisce. Anche Science riporta alcuni degli studi già analizzati su Nature e la conclusione è: 

«Fin quando non saranno conclusi gli studi , visto che ci sono numerose evidenze scientifiche circa la possibilità che il virus sia trasmesso anche tramite l’aerosol e quindi disperso nell’aria, si raccomanda l’uso preventivo di mascherine». 

In sintesi quella che era partita da un’analisi di correlazione particolato-diffusione in particolari condizioni, si conclude con la richiesta di una buona pratica che deve essere acquisita in fase emergenziale, ovvero utilizzare quotidianamente le mascherine per proteggere gli altri da una nostra  potenziale infettività seppur asintomatici, ma anche per proteggere noi stessi. 

Al momento la CNN ha pensato subito di diffondere le seguenti informazioni per stimolare l’uso estensivo delle mascherine, titolando un semplice report dal titolo inequivocabile “Universal mask-wearing is the most overlooked COVID-19 life saver” in cui riporta vari grafici tra cui il più esplicativo è questo (vedi https://www.maskssavelives.org

(In foto: la traiettoria del coronavirus stato per stato)

Dal grafico si evince che nei luoghi dove l’uso della mascherina è estensivo e abituale  la velocità di diffusione del virus è molto ridotta rispetto all’occidente, dove non si usa normalmente, ne viene consigliata in questo contesto. Il report conclude che le indicazioni ufficiali sono quindi sbagliate. 

Anche l’OMS sta correggendo il tiro? Pare di si (vedi inchiesta), ma speriamo che si sbrighi, perché ulteriori studi stanno uscendo (vedi Nature Medicine) ed è sempre più urgente applicare quanto meno il principio di precauzione, senza aver paura di creare allarmismo o di inficiare le disposizioni di distanziamento sociale (che comunque vanno mantenute).  

Dalla regione più colpita, la  Lombardia, è partita la prima ordinanza di obbligatorietà  e altre regioni si stanno organizzando. A questo punto è indispensabile controllare l’uso di dispositivi di protezione individuale in tutti i luoghi di lavoro ancora aperti, facendo una formazione professionale adeguata, nonché allargare l’utilizzo a tutta la popolazione dicendogli chiaramente quale va usata e come va usata.  

Come ambientalista vorrei anche parlare del dopo, ma non solo della fase 2 o 3, in cui a questo punto più impareremo a proteggerci minore sarà il rischio di una seconda ondata, quanto di un futuro non tanto lontano in cui dovremmo davvero rimettere in discussione il modello di sviluppo, la centralità delle auto come prevalente mezzo di trasporto (in Umbria quasi unico), un’agricoltura intensiva che solo in Lombardia era responsabile del 30% del particolato secondario, nonché dei sistemi di riscaldamento ad oggi responsabili anch’essi di un 20-40% di emissioni di particolato (in funzione dei luoghi). 

Mai come oggi il futuro inizia da subito, proteggiamoci ora per poter cambiare il domani. 


Di cosa stiamo parlando? Approfondimento su definizione di Aerosol e correlazione causale.

L’aerosol atmosferico è un sistema multifase disperso in atmosfera, contenente gas e particelle solide e liquide sospese costituito da polveri totali sospese (PTS) – Materiale Particellato (PM) materiale non gassoso (liquido-solido) caratterizzato da una bassa velocità di deposizione tale da rimanere sospeso in atmosfera per un certo tempo.

Quelle che noi chiamiamo PM10 e PM2.5 sono le particelle solide che corrispondono alle dimensioni dei filtri usati per rilevare le particelle più piccole di 10 e 2.5 micron rispettivamente (micron=1 milionesimo di metro).
In realtà il particolato più dannoso per le vie respiratorie profonde sono quelle extrafini (sotto 1 micron) in quanto possono arrivare fino agli alveoli polmonari. Il virus COVID19 è circa 0,1 micron (da 80 a 150 nanometri) ed è per questo che non solo può arrivare fino agli alveoli, ma è stato dimostrato che sfortunatamente la proteina della capside (l’involucro proteico che riveste il materiale genetico a RNA) viene riconosciuto da una proteina residente nella membrana cellulare delle cellule polmonari che funge da lasciapassare del virus.

Alcuni scienziati dell’Università di Bologna, dell’Università di Bari e dell’Associazione Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) hanno espresso una posizione secondo cui è proprio il particolato fine uno dei probabili fattori che hanno aiutato la velocità di incremento dei casi di contagio in particolare nel nord Italia così come è stato visto in altre parti del pianeta. Uno spunto di riflessione che ha posto il quesito sul ruolo dell’aerosol nella diffusione del virus.
Va quindi ulteriormente sottolineato che si parla essenzialmente di particolato e non di inquinamento atmosferico in generale dovuto anche ai gas quali gli ossidi di azoto, in particolare NO2, Ozono (O3), monossido di carbonio (CO), VOC (Composti Organici Volatili) e altro.

Altro strumento che ci serve a comprendere di cosa stiamo parlando è la differenza tra correlazione causale e correlazione casuale. La correlazione, come strumento matematico che identifica una relazione tra due o più variabili non consente di capire se quella relazione è di tipo causa effetto o è fortuita. In numeri sono neutri e in letteratura si trovano molti esempi di correlazioni spurie spesso anche divertenti.
Se quindi vogliamo identificare i termini del problema esposto nell’articolo allegato la domanda è stata: esiste una correlazione causale aerosol atmosferico (prevalentemente particolato) e la diffusione di virus nella popolazione? Quali i mezzi per difenderci?

Aggiornamento: proprio in concomitanza con la pubblicazione di questo articolo venivano diffusi i risultati di un’altra ricerca sullo stesso tema dell’università di Harvard negli Stati Uniti che rafforza l’idea di una connessione stretta tra inquinamento e letalità del virus. Qui l’articolo.